Ho scritto il biglietto, l’ho
appoggiato al davanzale e il vento lo ha soffiato via. Allora ho cambiato
tattica, l’ho riscritto e l’ho appeso a quel ramo che hai sistemato, volava
insieme alle piccole gemme di vetro che avevi annodato con cura.
Ti ho osservato strapparlo con un
gesto delicato, mi sono scostato dalla tenda, l’ho tirata e ho trattenuto il
fiato. Per un secondo o due, poi ho ripreso a guardarti con il foglio tra le
mani. Ti attorcigliavi i capelli tra le dita, avrei voluto sentirne il contatto.
Quando hai finito, hai guardato il cielo
grigio chiaro, come il riflesso dei tuoi occhi, hai scosso la testa come per
trovare una risposta e sei rientrata.
Attraverso questa strada, bianca,
luci intermittenti scandiscono i minuti che mi separano da te. Non ho nessuna
brutta copia, cerco di ricordare cosa ho scritto:
“Ciao, non ci conosciamo, o
meglio, non mi conosci. Ti vedo in autobus ogni mattina, ti siedi in fondo. Ti
piace osservare fuori, anche se conosci il percorso a memoria. Questo mi piace,
mi piaci tu. Non so se mi hai notato, di solito mi infagotto in un angolo. Sono
Matteo, quello alto, con lo zainetto nero, con i capelli scompigliati e l’aria
assonnata. Scendo ai centri commerciali, lavoro in un piccolo negozio di libri,
talmente piccolo che non so quanto resisterà. Intanto ci lavoro. Spero tu sia
arrivata fino a questo punto del biglietto. Vorrei vederti. Non darmi del
matto, vorrei incontrarti questa sera. Mi piacerebbe fossi lì con me mentre
accendono le luci, lo so, fa freddo, ma l’atmosfera è bellissima. A questa
sera, spero, Matteo”.
Credo di aver scritto questo, più
o meno, sono un lettore non uno scrittore. Vendo storie per vivere e vivo nelle
storie. Ho la testa poco a terra, amo le
nuvole e mi rendo conto ora di non
averle lasciato, il mio numero di telefonino, un’ora o un indirizzo, solo
un’indicazione generica. Troppo generica?
Cammino raso muro, appoggiandomi
ogni tanto, gli altri mi sfiorano, hanno intenzioni buone e curiose, i bambini
si perdono nelle vetrine. Musica suona tra i miei passi, lei ci sarà lo sento,
è un’esploratrice, adora le scoperte, la vedo mettere le valigie nel bagagliaio
con un sorriso, torna con un nuovo abito e tanta energia. Resto lì da un anno
dietro la finestra della casa di fronte alla sua, mentre lei va e viene, con
amici, senza apparente ragazzo fisso, la vedo con i mazzi di fiori che sistema
in vasi colorati alle finestre. Parte presto, come me, la mattina, puntuale,
ordinata. Non so quale sia la sua professione, la immagino davanti su un palco,
cantare. Quanto è probabile che una persona sveglia per una lavoro mattutino
sia una cantante? Però mi piace immaginarlo, anche se non conosco il suono
della sua voce.
Mi siedo su una panchina, tanto
c’è tempo, tutto il tempo che mi serve, per illudermi, per sperare. Perché non
sono coraggioso? Stendo le gambe e so che non sono identiche, questione di
centimetri, questione di metri per me. Sei un gabbiano con un’ala spezzata,
mamma diceva così. Diceva anche che avrei imparato a volare. Non sapevo ancora
cosa fosse una bugia detta a fin di bene.
Adesso lo sai anche tu
mamma, non sono capace di spiccare il
volo. Osservo una ragazza da una finestra, su un autobus e non ho avuto la
forza di avvicinarmi. Uno stupido bigliettino con un pupazzo di neve e le mie
parole basteranno? Devo fermarmi, per
gli altri è normale andare avanti, per me è diverso sono abituato alle pause
del mio oscillare.
Lei si chiama Laura. C’è un
piccolo campanello, ho appoggiato le mani sul suo nome molte volte, non ho mai
suonato. Trovarla davanti a me, era troppo, così senza preavviso e ho atteso,
fino a farmi un regalo. Sarà così?
Mi rimetto in piedi, reggono e
prendo la strada più veloce, dopo il primo chilometro ho sentito la fitta
all'anca, mi sono detto almeno questa volta vai, nonostante tutto, Matteo lo
storpio non batterà Matteo guerriero. E’ solo un piccolo ma significativo
dislivello che mi impedisce di correre, di rimanere in piedi molto a lungo, di
passeggiare per chilometri, solo un dislivello che a scuola è costato caro,
insulti, prese in giro, a cui mi ero apparentemente abituato.
Il tempo tra i banchi è lontano,
ma la traccia di quelle frasi è rimasta impressa dentro come incollata al fondo
di bottiglia. L’imperfezione fisica, lentamente è diventata un’imperfezione
generale, sbagliato, diverso, in questi trenta anni di vita combattuti per
restare in piedi. Nessuna relazione semplice per Matteo lo storpio, ma Matteo
il guerriero non si arrende e scrive il biglietto a Laura.
Un passo dopo l’altro, ho
superato la soglia consentita, mi fa male, ma è sopportabile, voglio arrivare.
Tutto scintilla in questo viale, le stelline appese sui lampioni brillano di
brina, un fiocco, il primo. Altra neve. Fiocchi piccoli, resistenti avvolgono
la città, la piazza si apre di fronte a me. Mi appoggio ad un muro e riprendo
fiato. L’abete spicca in centro circondato da gente. Manca poco, manca lei.
Mi avvicino, la cerco tra la
folla, rumori di voci, di eccitazione dell’attesa, la loro, la mia. Un coro di
bambini intona inni noti e dolci. Posso ancora sperare. I minuti passano, le
voci aumentano di volume, è giunto il momento, sono solo, senza lei. Le luci
dell’albero si accendono e qualcosa si spegne dentro me.
Non ha capito, non è arrivata,
non vuole incontrarmi, non mi conosce perché avrebbe dovuto venire qui?
L’ultimo gesto romantico di Matteo il guerriero. Adesso non mi resta che
zoppicare verso casa.
Il freddo mi paralizza, la neve
sembra più scura, ci avevo contato, avrei potuto sentire la voce di Laura. Cambierò orario di
partenza, posso prendere l’autobus successivo, sono sempre in anticipo al
lavoro. Prendevo la stessa corsa di Laura perché cammino lento e apro il
negozio senza ansia. Prendo la corsa di Laura perché l’avevo notata e non
riuscivo a smettere. Adesso cambierò e non guarderò fuori, tirerò le tende
senza aprirle più.
Cerco di prendere un passo
leggero, i piedi strusciano sulla neve fresca, mi allontano lentamente dalla festa.
Forse non l’ho vista, forse c’era, forse è solo un’illusione. Mi arrendo, non
mi reggo più in piedi, il ritorno prevede un mezzo di trasporto, sono stanco. La
sconfitta mi pesa più della mia gamba dolorante. Appoggio la testa al vetro
gelido, chiudo gli occhi e cerco di dimenticare il gesto impulsivo.
Ci vogliono un centinaio di metri
per arrivare all'ingresso di casa, cerco di non guardare in direzione delle
finestre di Laura. Apro e richiudo. Mi siedo sul divano e apro gli occhi di soprassalto, credo di essermi
addormentato. Fuori la luce indica il mattino. Mi preparo, la solita routine, e
attendo l’ora del secondo autobus.
Esco, c’è qualcosa di insolito,
qualcosa che pende sulla maniglia, annodato ad un nastro rosso un sottile
rotolo di carta, un lieve tremolio alla mano mi impedisce di essere veloce
nell'aprirlo, conto fino a tre, leggo tutto di un fiato e sorrido. Grazie del
regalo.
Buon Natale di cuore a tutti,
Il gabbiano di Natale, un racconto per le feste, di Angela Scalia.